Worldlog Settimana 09 – 2009


27 febbraio 2009

Questa settimana continuo la mia storia sulla fondazione del Partito per gli Animali. Dopo la nostra entrata nel parlamento una quantità di commentatori si beffò un po’ del fatto che adesso ci sarebbero stati ‘cani e gatti’ nella Camera dei deputati. Ci rinfacciavano ‘superiorità morale’, e i colleghi politici non lasciavano nulla d’intentato per sostenere che ‘chi non giunge a compromessi, non può praticare politica’.

La storica Maartje Janse, il 6 gennaio 2007, nel suo articolo dal titolo “Il Partito degli Animali sfida l'estrablishment politico”, uscito su uno dei più grandi quotidiani olandesi (De Volkskrant), ha scritto che la maniera di fare politica del Partito per gli Animali (il cosiddetto stile espressivo) somiglia molto alle organizzazioni ottocentesche descritte nella sua ricerca scientifica chiamate ‘gli abolizionisti’. Queste organizzazioni, che si occupavano dell’abolizione per esempio della vivisezione, della schiavitù o dell'abuso di alcolici, o si concentravano sui diritti della donna, si manifestavano in modo politico, diversamente da istituzioni filantropiche. Le tre vie principali per convincere il pubblico che si doveva rivoltare contro un abuso erano l’approccio scientifico, fare appello alla morale e alla coscienza e destare sentimenti di pietà e di indignazione tramite storie di atrocità. Si insisteva continuamente sull'interesse comune, al di sopra delle parti che doveva trascendere le differenze su altri piani.

‘Lo stile politico espressivo del Partito per gli Animali non non è da trascurare e può ottenere grosso consenso, così insegna la storia,’ dice Maartje Janse. C’è gente che trova che il Partito per gli Animali si squalifichi come giocatore serio nel campo politico per superiorità morale autodichiarata, che dà prova di una visione del mondo massimalista –buono verso cattivo- e di un’idea semplicista di politica. ‘La concezione di politica (buona) che questi critici implicitamente usano, si limita a quel che il sociologo Frank Parkin chiama “politica istrumentale”: il gioco di trattative che porta a compromessi e a una nuova legislazione. La “politica espressiva” viene scartata: l’esprimere indignazione personale su situazioni inammissibili. Ma se c’è qualcosa che la politica contemporanea ha fatto suo dopo la rivolta di Pim Fortuyn, è che la politica istrumentale, che caratterizza i gabinetti di liberali e di social-democrati, aliena il cittadino dalla politica. Nella compagine politica spazio deve essere riservato ai cittadini per esprimere la loro opinione e i loro sentimenti.

Janse continua: ‘l’affermazione di Marianne Thieme che il suo partito è il successore del movimento contro la schiavitù e per i diritti della donna è una dichiarazione politica, che suggerisce la ragione politica del Partito per gli Animali. I miei studi recenti sui movimenti olandesi per l’abolizione fra l'altro della schiavitù e dell'abuso di alcolici presenta effetivamente paralleli con la storia del Partito per gli Animali. Dal 1840 cittadini preoccupati si sono organizzati in diverse organizzazioni single-issue per dare vigore alla loro pretesa che la sofferenza di schiavi, bambini, ubriachi e Javani doveva finire. Sin dall'inizio i tentativi degli ‘abolizionisti’ furono ridicolizzati. Chi per questioni di principio rifiutava superalcolici per prendere posizione contro il problema sociale dell’ abuso di alcolici, veniva deriso e correva il rischio di giocarsi la reputazione sociale.

La prossima settima seguirà la parte seconda dell’analisi di Maartje Janse. Alla prossima!

This week I’d like to continue my story of how we set up the Party for the Animals. On taking up our first seats in the Dutch parliament, numerous commentators made jokes about “dogs and cats” in the Lower House. They accused us of “moral superiority” and politicians from other parties never missed an opportunity to lecture us that “there can be no politics without compromise”.

Historian Maartje Janse wrote about this development in one of the Netherlands’ leading newspapers, De Volkskrant, on 6 January 2007 in an article entitled “Animal party challenges the political establishment”. She drew a strong comparison between the politics of the Party for the Animals (the so-called “expressive style” of politics) and the 19th-century “abolitionist” organisations she has described in her research. Unlike philanthropic institutions, these organisations, working for the abolition of vivisection, slavery or alcohol abuse or fighting for the rights of women, became active on the political stage. Convincing the public to take a stand against a wrong then required three main things: an approach grounded in science, an appeal to people’s conscience and sense of morality and an ability to arouse feelings of compassion and outrage in the face of atrocity. Time and again, they argued that the greater good had to transcend all other differences.

“History teaches us that there is certainly a place in the political landscape for the expressive style of the Party for the Animals and that it appeals to many,” according to Maartje Janse. There are people who believe that the Party for the Animals disqualifies itself as a serious contender in the political arena by its self-declared moral superiority, which betrays a over-simplified, black-and-white view of the world – good against evil – and a simplistic conception of politics. “This conception of (good) politics that these critics implicitly refer to is limited to what sociologist Frank Parkin calls “instrumental politics”: engaging in the game of negotiation to reach compromises and enact new legislation. This rejects “expressive politics”: the expression of personal outrage at injustices. But if there is one thing that today’s politicians have come to understand post-Pim Fortuyn, it is that the instrumental politics characteristic of liberal and social-democratic governments actually alienates people from politics. There needs to be room for citizens to voice their opinions and feelings.
She continues: “The claim by Marianne Thieme that her party is following in the footsteps of the anti-slavery movement and the movement for women’s rights is a political statement that suggests the future success and moral infallibility of the Party for the Animals. Yet, my recent research into the Dutch movements for the abolition of, among other things, slavery and alcohol abuse show historical parallels with the rise of the Party for the Animals. From 1840, concerned citizens organised themselves into various single-issue groups to press home their demands for an end to the suffering of slaves, the children of drunkards and the Javanese. From the outset, these “abolitionists” were ridiculed. Anyone who abstained from hard liquor as a way of taking a stance against the social problem of alcohol abuse was derided and ran the risk of losing their social status.”

Next week I’ll continue with part 2 of Maartje Janse’s analysis. Till then!